Scheda

Data: 18-10-1724

Intestazione: Molesworth da Torino a F.M.N. Gabburri.

Fonte: Voi vi maraviglierete senza dubbio del mio indugio a rispondere a una vostra obbligantissima lettera, che io ho ricevuto che è qualche tempo, con de’ bei versi in lode de’ quadri del signor Redi. Ma un lungo viaggio che io ho fatto in Savoia, e l’aver prese certe acque che escludono assolutamente il commercio delle lettere, son le cagioni di questo indugio. Io ho ammirato la fertilità dello spirito di questo gentiluomo che ha composto questa canzone, dove non ho trovato niente d’iperbolico nella pittura che egli vi fa del cavalier Gabburri. In tutto il resto egli si è presa una licenza permessa ai poeti, quando vogliono innalzare fino a’ cieli l’eccellenza di qualche buon maestro nelle arti e nelle scienze. Quanto ai quadri, io vi dirò naturalmente che ei son buoni soprattutto in riguardo al colorito, ma che vi sono alcune piccole inavvertenze, e che si è qualche poco allontanato dal pensiero stabilito tra noi. Per esempio, nel Cincinnato non vi è l’aratolo, che avrebbe fatto un oggetto pittoresco. La capanna dove sono la sua moglie e i suoi figliuoli, appena apparisce nel quadro, benché questa sia parte dell’istoria, ed io sono stato molto senza avvedermi che ella vi fosse. Cincinnato era un vecchio molto venerabile, che era stato consolo, e di già aveva comandato le armate con riuscita celebre. Bisognava dargli quest’aria d’uomo grande, benché egli si fosse ritirato, in luogo di farlo un buon campagnuolo. E se il pittore si fosse ricordato di molte cose che io gli dissi, averebbe messo nel seguito degli ambasciadori qualche mezza testa nel quadro che facessero un gruppo, e soprattutto cresciuto il numero de’ littori co’ fasci; perché questa era una distinzione che caratterizzava i dittatori, consoli e gli altri ufficiali della repubblica. Ciò avrebbe altresì molto arricchito il quadro e le figure ridotte più piccole avrebbero meglio accompagnato quelle del Bruto. Questo ultimo è nobile, ma vi sono degli errori nel dare il giro al corpo di Bruto, nel medesimo tempo che il suo paggio, che dorme, è ben eseguito, benché l’attitudine sia molto difficile. Lo spettro, invece d’esser più grande per imprimer terrore, è molto più piccolo che l’altre figure; ed egli è certissimo che le tende de’ soldati e lo steccato del campo nell’oscurità (comeché era sul primo sonno) avrebbero molto più fatto risaltare il lume della lampana nella tenda; perché non è necessario essere molto instruito per sapere che la delicatezza della pittura consiste in queste sorte d’opposizioni: oltre che spesso un piccol tratto, come questo, fa spiccare l’erudizione del pittore, esprimendo la maniera dell’accamparsi o del fortificarsi degli antichi Romani. Voi mi crederete un po’ troppo critico; ma ciò che io ho detto, è piuttosto per amicizia per il signor Redi, perché nell’altre opere che farà, questi piccoli avvertimenti (soprattutto quando sono fondati come questo) non si debbono trascurare.
Il signor Bomont non è più qui, essendo andato a Roma a finire i suoi studi. Ma io ho mostrato i miei quadri ad alcuni intendenti, a cui sono piaciuti, senza vedervi le cose che io avrei desiderato che fossero corrette. Io gli ho fatti vedere anche a S.M. che non se n’intende troppo, ma vi era presente un veneziano, che ha accennato per l’appunto questi piccoli difetti che vi ho detto. Io vi assicuro che io desidererei, non solo, per amor mio, in questi quadri l’ultima perfezione, ma altresì per potere procurare al signor Redi credito e impiego, come merita. Io sono, ec.

Turino, 18 ottobre, 1724.


Bibliografia: Bottari, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII pubblicata da M. Giovanni Bottari e continuata da Stefano Ticozzi, Milano 1822, II, pp. 158-161 (LXV).