Numero d'ordine:
Data: 27 01 1685
Intestazione: FILIPPO BALDINUCCI AD ANTONIO ANTINORI
Segnatura: ASF, Guardaroba Medicea, 368, cc. 429-430.
Fonte: Mio Signore e Padrone riveritissimo, intorno a' due quadri mandatimi da Vostra Signoria per ordine del Serenissimo Gran Duca dirò il mio parere. Quanto al primo che viene supposto ritratto di Guido, e di sua mano, dico che quello è veramente il suo ritratto, e tanto affermo, sì per la pratica che ho di sua effigie, sì anche perché il conte Malvagia nelle sue Vite a principio di quella di esso Guido s'è servito della medesima per appunto colla stessa accomodatura di cappello, collare e parte di busto. Che egli sia fatto dal naturale non ne dubito punto, perché lo mostrano chiaro i tocchi e i ritocchi, e tutta l'impastatura che si vede è di maestro; resta a dire se sia mano dello stesso Guido. Io quanto a me l'ammetterei per tale, non solo perché l'impasto è bellissimo, ma ancora perché ha in sé la sua maniera di far rilevare senza scuri, e solo a forza di chiari e mezze tinte. Che poi io lo stimi per opera di Guido cosa perfettissima, questo non già: ma si vede chiaro che la pittura non è terminata ma lasciata così come venne alla prima. Ho anche osservato che la tela, quando fu colorita, era maggiore ed è stata tagliata e ridotta nella piccola proporzione che si vede; segno evidente, siccome io mi fo a credere, che il pittore avesse cominciata questa figura in tela di mezzo naturale, ma fatta che ebbe la testa lasciasse tutto il resto quasi senza farvi nulla, onde poi coloro a chi venne alle mani, per farne un quadro che avesse del finito, tagliassero quel poco che appariva più concluso: la qual cosa però non avrei fatt'io. Non ostante questo, io stimerei bene che si pigliasse, con patto però che la considerazione del prezzo si dovesse fare come sopra cosa non interamente certa. Stimerei anche bene il pigliarla, perché non rimanesse dove è al presente, e così potesse venire in poter d'altri che avesse concetto di far un museo simile a quello di Sua Altezza Serenissima (benché oggi sia quasi impossibile) e così esso ritratto facesse ombra al nostro. Insomma: è bene per così dire seccare tutti i luoghi ove possono esser ritratti d'uomini singularissimi, quando anche si avesse qualche dubbio se fossero di lor mani. Quanto al ritratto che si dice di Anibale Caracci, ed anche di sua propria mano, dico che è un bel ritratto, tocco di gran forza, ma non m'assicuro che sia della maniera d'Anibale quando anche si dica fatto ne' primi tempi, e questo per più ragioni. Che sia ritratto di sua effigie, né meno questo posso affermare, e la ragione chiarissima è questa: ogn'uomo ha nel volto tre proporzioni; la prima dal fondo del mento al principio del naso; la seconda dal principio del naso al principio della fronte; la terza dal principio della fronte al termine della medesima. Quando ci avanziamo in età, possiamo ingrassare o dimagherare, ma le proporzioni son sempre le medesime; voglio dire che quella di mezzo non ristrigne, e l'estreme non allungano o scortano. Or nel caso nostro l'effigie del supposto ritratto è diversissima nelle proporzioni da quella che mette il Billori nel bell'intaglio del volto d'Anibale al principio della vita di lui, siccome il Malvagia nel ritratto pure ch'egli pone al principio di quella scritta da esso; le quali, benché rappresentino Anibale in età avanzata assai, non per questo debbon mostrare proporzioni diverse da quelle ch'egli ebbe in gioventù. Lo piglierei non ostante, però con dichiarazione di non volerlo pigliare per ritratto d'Anibale per le ragioni su dette, alle quali in Bologna non si potrà contraddire, mentre un cittadino di quella patria ha effigiato Anibale tanto diversamente da quello ch'oggi si dimostra col presente ritratto. Ho detto che lo piglierei non ostante, ma per le ragioni dette, cioè: che egli non fusse altrove mostrato per ritratto di quell'artefice ad esclusione de' nostri, e anche perché potrebbe una volta darmi alle mani qualche stampa, o pure qualche notizia che potesse dar lume da chi fu ritratto. Ch'è quanto in essecuzione de' benigni comandi del Padrone Serenissimo posso a Vostra Signoria rappresentare, facendole per fine reverenza. Di casa, li 27 gennaio 1685. Dopo scritto m'è pervenuta l'altra cassa, entrovi il ritratto che si dice di Timoteo delle Vite da Urbino, ed eccone il mio parere. Il ritratto è fatto de' tempi di Raffaello coetaneo di Timoteo, al quale Raffaello egli molto aiutò in Roma. Chi fece esso ritratto, o si studiò di seguitar la maniera di Raffaello, o fu della sua squola, o lo copiò da uno di Timoteo o d'altro maestro che la seguitasse. Egl'è ben vero che a mia occhi non par di mano che di persona poco avanzata nell'arte, perché vi conosco debolezza di disegno e di colorito; e sappiamo all'incontro che fra le lodi che si danno alle opere di Timoteo proprie sue, è una gran franchezza di disegno, congiunta ad una grand'eccellenza di colorito, in quel fare del gran maestro suo. Né si dica che egli potesse averlo fatto in gioventù, perché esso Timoteo non visse più di 53 anni, che sono quegli quasi appunto, o poco meno, che mostra il ritratto. Che poi sia l'effigie di Timoteo né meno si può dire, perché nessuno scrittore di vite di pittori la porta ne' suoi scritti; e quell'avere un libro in mano non mi pare che sia punto segno d'esser costui stato pittore; e di nuovo le fo reverenza. [P.S.] Avevo fatto scrivere la presente a Giuliano Rossi di Livorno con disiderio che con tale occasione il Padrone Serenissimo vedesse un poco di suo scritto fatto senza imitazione; ma l'averlo avuto a far con gran fretta ha cagionato che gl'abbia molto peggio di quello averebbe fatto scrivendo adagio. Di Vostra Signoria mio Signore e Padrone riverendissimo servidore devotissirno Filippo Baldinucci
Bibliografia: BAROCCHI 1975, pp. 560-563.
Note: