Scheda

Numero d'ordine: 

Data: 1 12 1669

Intestazione: LETTERA SCRITTA DA FILIPPO BALDINUCCI ALL'ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO MONSIGNORE LORENZO SALVIATI FIGLIOLO SECONDOGENITO DELL'ECCELLENTISSIMO SIGNORE DUCA SALVIATI E CHERICO Dl CAMERA Dl SUA SANTITÀ, NELLA QUALE DICE IL SUO PARERE SU ORDINE ALL' INSTANZE FATTE DAL MEDESIMO MONSIGNORE INTORNO AL MODO DI DAR PROPORZIONE ALLE FIGURE Dl PITTURA E SCULTURA ECC.

Segnatura: BN, Pal. 1011. Copia.

Fonte: Illustrissimo e reverendissimo Signore e Padrone mio co lendissimo, avrei volsuto, nell'obbedire ai riveritissimi cenni di Vostra Signoria Illustrissima intorno allo scrivere il mio concetto circa alle proporzioni del corpo umano, poter prevenire la partenza di Vostra Signoria Illustrissima da questa città, ma non mi è stato possibile; non già perch'io non avessi la materia assai pronta, ma perché, dovendo presentarla al purgatissimo gusto di Vostra Signoria Illustrissima, ho volsuto, prima di chiamarmene satisfatto, farne un puntual riscontro con opere di rilievo dei migliori maestri; il che fatto, avendo trovato in esse conformità con quel poco che fu insegnato a me, ardisco trasmetterne a Vostra Signoria Illustrissima il mio sentimento nel modo che quasi alla prima ha saputo gettare la mia penna. Potrà la scrittura forsi riuscire assai prolissa e conseguentemente di troppo impedimento alle rilevanti occupazioni di Vostra Signoria Illustrissima. In questo caso si degni Ella di leggere quel poco che appartiene alla sua principale intenzione, lasciando il rimanente dell'altre mie debolezze. Dico dunque che la simetria pratica dei corpi umani riceve la fondamentale proporzione di tutte le sue parti dall'altezza della testa, prima e principalissima parte di tutto il corpo. Si formano figure di pittura e scultura, tanto di maschi quanto di femine, di proporzione di sette, di otto e di nove teste et alcune volte di dieci e più, come si dirà appresso. La prima di sette teste è proporzione d'uomini imperfetti e di corpo e membra rusticali e goffe. La seconda di otto è alquanto miglior proporzione, ma non arriva al più bello. La terza, che forma la figura d'altezza di nove teste, è quella della quale si son serviti per ordinario i più eccellenti artefici. La proporzione di dieci, e alcuna volta di più teste, bene spesso deve usarsi (principalmente in scultura) quando le figure devino vedersi ad un'altezza molto grande, mediante la quale la figura fa tanto scorto che, perdendosi tutto il soverchio, resta ella con tutto ciò della sua intera proporzione e misura. È ben vero, che sì come tutte queste proporzioni' o siano in pittura, o siano in scultura, son sottoposte al giudizio ed alla censura dell'occhio, così devono adoprarsi sempre con antecedente consiglio dell'istesso, non ostante ogni più ferma regola, vedendosi chiaramente essere stato questo il costume di tutti i più intelligenti, confermato da quel detto tanto memorabile del gran Buonarruoto che bisogni al maestro aver le seste negl'occhi. Fermandoci dunque sopra la detta misura e proporzione di altezza di nove teste, per esser la più perfetta, diremo così. Primieramente è da notarsi che la misura della testa incomincia dalla parte più bassa del mento e termina fino alla sommità della fronte, e questa si dice una testa e con questa misura si dà regola al rimanente del corpo, quale, perché torni più misurabile con detta proporzione della testa, si scompartisce in questo modo. Si lascia fuori tutta l'altezza della gola fino alla fontanella e da questa si seguita a misurare tutto il rimanente del corpo, segnando l'altezza di tre teste dalla detta fontanella della gola fino alle parti virili; altre due teste da dette parti fino alla patella del ginocchio, che è la parte media e più alta di esso; e da questa fino alla parte più alta del piede, o come volgarmente si dice, fino alla fontanella del piede, altre due teste. Rimangono per fine della misura del corpo le parti che restono non misurate, cioè dalla fontanella della gola fino al fondo del mento, e dal fondo del piede fino alla fontanella del medesimo piede, e queste fra tutte dua constituiscono appunto l'altezza dell'altra testa, che in tutto sono le nove dette di sopra. Serve anco questa regola universale della testa per la larghezza del corpo, e così, pigliando dalla fontanella della gola fino all'appiccatura di ciascheduno braccio, deve essere lo spazio di quanto è alta una testa, onde ne segue che sarà in tutto la larghezza della sommità del torso quanto sono alte due teste. Ciascheduno braccio dall'appiccatura del torso fino a quella parte di esso che si congiunge con la mano, deve essere lo spazio di due teste e mezzo, e così fra tutte due le braccia saranno lunghe cinque teste. Ciascheduna mano, pigliando dall'appiccatura di essa col braccio fino all'estremità del dito medio, deve essere alla misura d'un'altra testa, e così, costituendo di queste parti un tutto, si vede che, allargando l'uomo tutte due le braccia e le mani rettamente, sarà la larghezza del corpo suo per appunto quanto è l'altezza del medesimo. E questo è quanto pare che possa dirsi praticamente intorno alla misura in universale di un corpo. Restano adesso le proporzioni di più parti principali di esso, che si considerano nell'appresso modo. L'altezza della testa, cominciando, come si è detto, dal la parte più bassa del mento fino all'estremo della fronte, si divide in tre parti eguali. La prima contiene il mento e la bocca fino al principio delle narici. La seconda dal principio delle narici fino all'estremità del naso, cioè fino al piano della cassa dell'occhio; e la terza rimane per la fronte. E mancando un volto di simili proporzioni, mai potrà l'aria del medesimo essere a quel segno, che si dice pittorescamente bella. Ma perché di quante membra abbi formate la natura in un corpo, alcuna non ve n'ha dove ella abbia preteso che quasi in proprio trono risieda la bellezza, quanto la testa, non vi ha dubbio alcuno che questa non ricerchi più che ogni altra parte in eccellente modo le sue proprie proporzioni e misure, senza le quali ella saria o men bella, o deforme: però vediamo quali queste devino essere, e da che si formino. L'occhio senza dubbio, che è la più bella parte di questo tutto, è quello dalla misura del quale ricevono la proporzione loro tutte le membra dei volti. Deve dunque quello che noi pigliamo per testa, cioè il volto, esser di altezza, o lunghezza che vogliamo dire, quanto sette volte in circa la larghezza de]l'occhio, incominciando a misurare, come si è detto, dall'estremità del mento fino alla parte più alta della fronte, dal che si vede che sarà la larghezza dell'occhio un terzo più della metà dello spazio che è dall'estremità del mento fino al principio delle narici, o di qualsisia altra delle tre proporzioni della testa dette di sopra. Questa misura dell'uno e l'altro occhio si piglia dall'estremità del lagrimatoio fin al termine della parte opposta, cioè fino al punto dove si uniscono le due palpebre, che volgarmente si dice la coda dell'occhio. Fra l'uno e l'altr'occhio, cioè dal termine di un lacrimatoio fino all'altro, deve essere lo spazio per appunto della detta misura e larghezza d'un occhio. Sarà similmente la pianta delle narici della medesima larghezza d'un occhio, dovendo queste poi nel sollevarsi dalla lor pianta andare modestamente ingrossando secondo l'effigie, che si vorrà rappresentare più o meno risentita. La medesima larghezza d'un occhio serve per misura delle labbra, intendendo però di quella parte di esse che tanto di sopra quanio di sotto arrovescia fuori del taglio della bocca. Il taglio della bocca sarà più largo d'un occhio duc terzi della larghezza del medesimo occhio. Il mento dalla parte inferiore fino alla sommità, cioè fin dove termina sotto quel poco di spazio che è fra esso e il labbro di sotto, dovrà essere dell'istessa misura della larghezza d'un occhio; e lo spazio che avanzerà dalla sommità o termine del mento fino all'estremità del naso o pianta delle narici, resterà per il labbro di sotto e di sopra e per il taglio della bocca, il quale appunto verrà situato nel mezzo di questo spazio. L'orecchio dovrà esser alto dal fondo all'estremità opposta la larghezza di due occhi. La parte superiore dell'orecchio, dove si congiunge con la gota, sarà appiccata tanto distante dal punto dove si uniscono le palpebre, o vogliamo dire dalla coda delI'occhio, quanto è due volte e un terzo la larghezza del medesimo occhio. La parte estrema, o fondo dell'orecchio, sarà appiccata ad una distanza di larghezza pure di due occhi e un terzo dalla pianta laterale della narice, e così verrà la situazione di esso nella parte superiore graziosamente inclinata verso la nuca, e l'inferiore risguardante all'insù. Sarà la sua appiccatura tanto bassa, che tirandosi una linea retta dall'estremità dell'orecchio, e una parallela a questa dalla sommità dell'istesso, questa verrà a passare per appunto per lo mezzo dell'occhio, ferendo direttamente il lacrimatoio, e quella ferirà il mezzo del labbro di sopra. La larghezza del volto sarà due delle tre proporzioni della testa, cioè quanto è dall'estremità del mento fino alla sommità del naso e cassa dell'occhio, che è quanto dire dall'estremità del naso e pianta delle narici fino alla sommità della fronte, cioè quatíro larghezze e due terzi d'un occhio; e così vedesi che, situati che siano gli occhi, e datoli il lor rnedio spazio, avanzerà dalli due termini di essi fino all'appiccatura dei capelli la larghezza fra tutti due di un occhio e due terzi, il quale spazio andrà dolcemente declinando in giro fino al suo termine. La giusta proporzione della grossezza del capo veduto in profilo, senza l'ingrossar de' capelli, sarà per appunto quanto è lunga la faccia, cioè quella misura che pigliamo per una testa, e li due termini di questa proporzione saranno per una parte la sommità dell'accigliatura, o vogliamo dire quello spazio che è fra l'uno e l'altro ciglio fino a quella parte più lontana del capo, che i Latini chiamano occiput. E queste sono le regole che io trovo essere state osservate da' migliori maestri nelle figure fatte d'invenzione; perché per altro è notissimo che, quando si trattasse di ritratti, non va osservata altra regola che quella che ha tenuta l'istessa natura, riuscendo veramente più riguardevoli quelli che, lontani da ogni altra legge o proporzione, solamente a quella si conformano che contiene in sé l'oggetto che essi devono rappresentare. Alcuni hanno scritto assai lungamente di simili proporzioni, estendendosi a particolari minutissimi di ciascheduna parte; ma io per me son di parere, et anche ho visto per esperienza, essere le lunghissime lor fatiche per lo più poco viste, meno lette e niente osservate; e se io potessi, benché in tutto ignorante dell'arte del disegno, dir quello che io ne sento, direi assolutamente che il volere nel proporzionare i corpi discendere a più individuali minuzie dell'accennato di sopra all'ingrosso, fusse un voler dichiaratamente obligare il buon artefice a formar tutte le figure ad un modo, lasciando d'imitare la natura nella più mirabil parte che si scorga in essa, che è la varietà. Io per me non so vedere fra le cose sensibili cosa con che più vivamente venga a noi dimostrata l'infinità dell'Eterno artefice, che l'infinità degli aspetti e dell'effigie degli uomini, tanto che possa dirsi senza iperbole che, se fussi possibile il fare un minuto confronto di tutti i volti che sono stati, che sono e che saranno in tutti i secoli, senza dubbio non ve ne sarebbon due che in tutto e per tutto fussero simili. Cresce tanto più questo mio argumento, quanto che si vede per esperienza che con essersi questo gran Fabbricatore del tutto obligato, a nostro modo d'intendere, di dare ad ogni faccia un solo aspetto, cioè umano, e poche membra, e queste a ciascheduno della medesima forma e con le medesime abilità, facultà e moti; con tutto ciò si vedono infiniti volti sommamente belli, altri in eccesso venerabili, altri detestabilmente deformi e tutti nel loro genere in tutto e per tutto fra di loro dissimili. Dunque forza è il dire che tale varietà e dissimiglianza, che non solo distingue generalmente l'uno dall'altro in numero quasi infinito, ma uno sommamente bello da infiniti altri sommamente belli ec., da altro non derivi, per quanto può conoscere il nostro corto intelletto, che da una al tutto insensibile variazione di parti nei medesimi volti, e questa a mio credere è la più necessaria qualità che deve imitare, per quanto può, il buono artefice, né potrà mai assolutamente farlo quando si andrà obligando a misure o regole più minute. Posso io in pratica indurre alcuni assai veridici testimonii di quanto questo sia vero. L'uno sia l'operare di Andrea del Sarto. Questo non ebbe altra nota nel dipinger suo, per altro eccellentissimo, che, o fussi per un amore troppo sviscerato che scrivono portasse alla sua consorte,o fusse per difetto di naturale o per qual altra che se ne fussi la cagione, non si vede altra proporzione o aria nelle sue teste, che quella della medesima sua donna; e vedonsi dipinti da lui fanciulli e uomini d'ogni età, e fino ai medesimi vecchi, che tengono tanto di quella somiglianza, quanta se ne può comportare nel soggetto che rappresentano, ma però non tanto poca che non facci conoscere un abito troppo invecchiato in questa parte nel pennello di tal pittore. Per l'opposto siano l'opere di Paolo Veronese. Questo ebbe un così bel genio accompagnato da tanta facilità nel variar l'effigie e l'arie delle sue teste, che ne fu ammirato da tutti; e si dice di lui che dal vedere più uomini o donne nella piazza, eleggeva quell'arie che più gli commodavano all'opere; e quelle non sopra altra tela che della propria imaginativa conducendo a casa, adattava al suo bisogno, cosa che quantunque paia aver troppo del singolare, vien però molto provata dall'effetto, col vedersi in ogni sua pittura una così bella varietà di teste. Per queste ragioni credo io che solo possa bastare, per una pratica cognizione delle proporzioni dei corpi, il detto di sopra, rimanendo io però sempre prontissimo e desiderosissimo di servire a Vostra Signoria Illustrissima in altra maniera migliore, secondo che permetterà il tenue capitale della mia sufficienza, mentre per fine mi dedico per sempre di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima umilissimo et obbligatissimo servitore Filippo Baldinucci Firenze, il dì 1 dicembre 1669.

Bibliografia: Lettera di Filippo Baldinucci intorno al modo di dar proporzione alle figure in pittura e scultura, a cura di Gaetano Poggiali, Livorno, Masi, 1802. Opere di Filippo Baldinucci, XIV, Milano 1812, pp. 285-298; BAROCCHI 1975, pp. 120-127.

Note: